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GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA SULLA DONAZIONE E LE SFIDE PER IL FUTURO

 

Anche il presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, alla conferenza stampa di mercoledì 13 luglio In Senato “Una goccia per la vita. La carenza di sangue ed emoderivati ai tempi del Covid-19”

 

Più valore al servizio trasfusionale nelle singole regioni perché sia considerato, definitivamente, un ambito indispensabile per le regolari attività sanitarie. È l’appello che si alza dal Senato, nello specifico dalla Sala Caduti di Nassirya, dove mercoledì 13 luglio si è tenuta la conferenza stampa “Una goccia per la vita. La carenza di sangue ed emoderivati ai tempi del Covid-19”.

 

Su iniziativa del Sen. Antonio Barboni, l’appuntamento è servito non solo per fare il punto della situazione alla luce anche del nuovo innalzamento dei contagi, ma anche per consentire a istituzioni e rappresentanti delle associazioni di donatori di confrontarsi e delineare insieme le strategie da percorrere e gli obiettivi da centrare. Primo tra tutti quello di una comunicazione ancora più efficace che, proprio dalla politica, contribuisca a sensibilizzare la popolazione «in ogni momento dell’anno, non solo in estate – come ha detto portando i saluti la presidente del gruppo di Forza Italia in Senato, Anna Maria Bernini – il donatore fa parte di una comunità di fratellanza che deve allargarsi sempre di più e che vede nel gesto gratuito il proprio punto di forza rispetto a quei Paesi dove la donazione viene retribuita. Proprio per diffondere sempre più questo messaggio chiederemo al nostro collega, il Sen. Giuseppe Moles, sottosegretario all’Editoria, di aiutarci con delle campagne che non siano spot, ma che durino 365 giorni all’anno. Soprattutto sul plasma».

Anche perché i numeri parlano chiaro. Il messaggio è molto semplice: «Noi andiamo in ferie, ma i pazienti no – confessa il direttore del Centro nazionale sangue, Vincenzo De Angelis – il trend dei donatori è in calo e la pandemia ha assestato un colpo che l’attività del 2021 non è riuscita a recuperare. In questo un ruolo centrale lo gioca l’andamento demografico, con nascite sempre meno frequenti e una popolazione che si avvicina alla fine del ciclo donazionale. La domanda da porci è: cosa stiamo facendo per sostituire questi sempre più prossimi ex donatori?». Poter contare su pochi donatori significa avere poche donazioni «ed è solo grazie alle associazioni che ogni giorno possiamo trasfondere 1800 pazienti. Il sangue che stiamo raccogliendo è meno di quanto preventivato, ma i consumi restano gli stessi: questo significa che ben presto si apriranno gravi carenze». Un tema che riguarda anche il plasma e che sta pagando i numeri al ribasso delle regioni più grandi: una condizione che costringerà l’Italia, se la tendenza non viene invertita, «a comprare farmaci dall’estero con un aggravio di spesa pubblica non indifferente. Ecco allora che è diventato necessario creare un documento, approvato da AIFA, sul Razionamento esplicito – conclude De Angelis – che certifica come, in caso di carenza di emoderivati, il plasma debba essere destinato a quelle tipologie di pazienti senza il quale morirebbero».

 

Dopo l’intervento del Tenente-Colonnello Petrella, dell’Ufficio Direzione e Coordinamento del Servizio Trasfusionale Militare, che ha ricordato «l’impegno delle forze armate nella collaborazione con le associazioni per effettuare le raccolte all’interno delle caserme», a parlare è stato il presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola. Oltre al bilancio su quanto il Covid abbia sconvolto le organizzazioni ospedaliere, colpendo non solo i donatori, ma gli stessi operatori sanitari, il presidente si è soffermato sulla necessità, da parte delle istituzioni, di «riconoscere il valore del servizio trasfusionale nelle singole regioni. Dobbiamo capire che se non c’è disponibilità di sangue diventa impossibile aprire un reparto o ipotizzare qualsiasi intervento chirurgico. Il supporto serve non solo alle strutture sanitarie, ma alle stesse associazioni che hanno la delega di effettuare le raccolte. Solo collaborazione e azioni mirate ci consentiranno di colmare il gap con le regioni che sono in ritardo. Anche perché – sottolinea Briola – l’autosufficienza nazionale è la sommatoria delle autosufficienze regionali: non possiamo continuare a ragionare pensando che chi raccoglie di più debba compensare chi fa meno». Poi una riflessione sui giovani e sul futuro: «Il ricambio generazionale è un tema complesso sul quale pesa il mondo del lavoro, con incarichi precari e a termine che non consentono molta libertà nel richiedere un permesso per andare a donare. L’obiettivo a cui siamo chiamati – conclude – in relazione al PNRR è quello di utilizzare le Case di Comunità come luoghi dove realizzare centri trasfusionali fissi che rappresentino un punto di riferimento e di accesso sul territorio per i nostri donatori».

 

Più programmazione «per non arrivare ogni anno in emergenza al periodo estivo» è stato l’invito lanciato dal presidente di FIDAS, Giovanni Musso, in nome di quel «diritto alla salute che va garantito a tutti. Sarebbe bello se i centri trasfusionali fossero aperti anche nel weekend per ampliare gli orari di accesso e consentire un maggior numero di ingressi ai donatori».

 

Ma orari di accesso più ampi passano, inevitabilmente, da una maggiore rappresentanza di personale sanitario che, come ha chiesto il presidente di FRATRES, Vincenzo Manzo, «deve essere incrementato. Sono stati compiuti molti sforzi per intervenire su molteplici questioni anche non di carattere sanitario: ecco, lo stesso va fatto anche per il sistema trasfusionale. Senza emocomponenti si ferma tutto e questo tema è stato troppe volte sottovalutato da tutti».